Il 12 settembre di 16 anni fa lo scrittore americano David Foster Wallace, all'età di 46 anni, decise di porre fine alla sua vita terrena, non prima di aver scritto una lettera di spiegazione di due pagine (da una mente del genere non poteva uscire un banale bigliettino) e aver messo mano al suo terzo romanzo, che è stato pubblicato postumo con il titolo 'Il re pallido'.
Wallace soffriva da molti anni di depressione, la malattia del XXI secolo (iniziato secondo lo storico Hobsbawm nel 1990, dopo la caduta del muro di Berlino e il crollo dell'Unione Sovietica) e in una lettera a Don De Lillo, scrittore che lui stimava molto e che ha provato a superare il postmodernismo dopo l'11 settembre con la cosiddetta 'New Sincerity', spiegava con un'efficace metafora la razionalità del pensiero suicida: in un palazzo che va a fuoco, gettarsi giù dalla finestra sembra la soluzione più logica per fuggire immediatamente dal dolore. In più, cosa grave per uno scrittore, dichiarò, nella lettera d'addio, di non divertirsi più nemmeno a scrivere. Wallace era una persona molto intelligente e sensibile e di conseguenza soffriva molto. Anche il suo enorme successo dopo il romanzo 'Infinite Jest' lo visse non da rockstar, come il rivale Bret Easton Ellis, ma da persona ansiosa e sofferente, che non poteva sopportare l'idea di deludere o far soffrire le altre persone.
Quello che sappiamo per certo è che una mente come la sua, oggi, manca molto al panorama letterario occidentale. Ma sappiamo anche che i "tempi bui e stupidi" di cui parlava nel '93 criticando il già citato Bret Easton Ellis, non sono stati superati. Nell'eterno ritorno degli anni '80, abbiamo un candidato presidente USA che afferma pubblicamente che "gli immigrati mangiano gli animali domestici degli americani", ragazzi che cantano con l'autotune, il Papa che si apre profili social e persone importanti che usano gli stessi social per dare informazioni o opinioni, ragazze che campano (bene) vendendo su internet le foto dei loro piedi. E l'intrattenimento (cinema, Tv, a cui oggi si aggiunge internet) è, nel 2024 come nel 1996, anno di pubblicazione di 'Infinite Jest' negli USA, una grande droga collettiva che ci impedisce di distinguere ciò che è reale da ciò che non lo è. Non abbiamo ancora avuto, come nel romanzo di Wallace, una guerra causata dall'incapacità di risolvere il problema dello smaltimento dei rifiuti, ma forse manca poco.
Ciò che conta però, nella varietà di stili, di forme e di temi che si incontrano leggendo Wallace, non è se sia giusto inquadrarlo nel postmodernismo o nell'avant-pop, né chiedersi se queste categorie siano superate o superabili nella letteratura attuale, e nemmeno se oggi ci sia, in Occidente o da qualche altra parte, un suo erede, o se sarebbe possibile, oggi, avere successo scrivendo come lui. La questione che Wallace poneva nel '93 era questa: uno scrittore non può accontentarsi semplicemente di descrivere i tempi bui e di dire nei suoi libri che i tempi sono bui, come invece faceva a suo dire BEE, ma deve anche, cito le sue parole,
"individuare e fare la respirazione bocca a bocca a quegli elementi di umanità e di magia che ancora sopravvivono ed emettono luce nonostante l’oscurità dei tempi” .
Credo che Wallace non si riferisse tanto ai temi, quanto piuttosto all'atteggiamento dello scrittore, che dovrebbe essere più ironico e meno cinico, ma anche al romanzo in sé, e qui ovviamente tirava acqua al suo mulino, che non dovrebbe essere solo qualcosa che scandalizza, configurandosi però come una sorta di storia usa e getta (tipo 'American Psycho'), ma che, provando a raccontare la realtà del mondo e delle persone, faccia anche riflettere e parlare di sé a lungo.
Questa è la sfida che un grande scrittore ha lanciato nel mondo della letteratura americana, e vedremo chi saprà raccoglierla, anche fuori dagli USA, ma penso che potrebbe, senza voler fare di lui un guru, essere presa anche come il consiglio di un buon amico su come comportarci e come vedere la vita in generale per evitare di farci travolgere e soffocare dai "tempi bui e stupidi" e del resto mi sembra simile a quanto scriveva il nostro Italo Calvino affermando che
"L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più.
Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio."
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